Le autocertificazioni. No, via.

 Giuseppe, caro.


Una bella fetta di popolo, per te. 

Non avresti preferito una bella fetta, che so, di torta di mele? 

Godevi di più.

Ora c’hai da lavorare, da tenere fede, da sudare, da sbatterti  i coglioni, perché ce li hai ancora, vero? Sono quelle due sfere vicine vicine al tuo pisello, che un tempo immaginavo bellissimo, gli avrei cucito un cappellino di lana su misura, per il freddo, ora meno: fai il banale, accontentati delle mutande.


Mi urge scriverti, ovvio, ma anche scrivere a coloro che frementi seguono da tempo  il mio carteggio rosa,  perché, stamani, qualche buontempone, in città, mi ha chiesto: “L’hai votato eh, il tuo Giuseppe caro?!”.


A parte cosa cazzo ve ne frega.


Detto questo, la risposta è no.


Primo, non confondo amore e altre faccende.

Secondo poi, non sei più il mio Giuseppe, caro.

Terzo poi, sono finiti i tempi nei quali avrei scritto con le dita sulla tua schiena nuda: “Insieme ce la faremo”.


Sono stata la tua Liala, la tua più grande fan, ti ho difeso anche quando, diciamocelo, eri indifendibile. 


Hai invaso il mio cuore e ci sei rimasto, saldo, nonostante le autocertificazioni.

Giuseppe, caro, le autocertificazioni.


No, via.


Nonostante i colori delle regioni e i congiunti. Giuseppe, caro, ma pensaci ora, ma che cazzo di botta c’avevi?

I colori delle regioni e i congiunti, roba da non credere, che brutta fine, la vigilia di Natale il 23 dicembre.


Ma poi, la politica ti sbatte come il giallo ocra, ti rende nervoso e non incline alla vie en rose che sognavo con te.


Ti ci vOle ma un’autocertificazione per rientrare nel mio cuore.


Ma vedrai la brucio.


E.

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