Le ho dato un nome
Il ventisette agosto di quindici anni fa, durante i funerali del mio babbo, venne una tempesta come quella che so essere scesa su Rosignano oggi.
In chiesa sparì la luce, forse anche in tutta Ponteginori, e il diluvio fuori io lo volli vedere come l’incazzatura nera di un cielo agostano per la perdita di un uomo tanto buono quanto bello, qualcuno di insostituibile nel cuore di molti, sicuramente per il mio.
Stasera sull’autobus, rientrando da lavoro, subito dopo il Romito, mentre il cielo provava timidamente a riaprirsi, nelle mie cuffie è passata “Ricordati di me, quando ridi, quando sei da sola, fidati di me, questa vita è questo tempo vola”.
Quanto tempo ci vuole a fidarsi di qualcuno, e quanto fa male non poterlo fare più. Quanto fa male volere così bene da non respirare più, e dover poi, tutto d’un tratto, dover fare a meno della fonte di quel bene?
Quanto fa male sentirsi, poi, un estraneo nel cuore di qualcuno, o un nome scritto con la penna cancellabile?
Se non è dolore, quello, ditemelo voi cos’è.
Amori, amici. Un genitore prima, che poi diventano due: sentirsi soli, scoperchiati, i primi della lista, una casa senza il tetto.
Uno degli ultimi giorni di ferie ho comprato una pianta.
Sono andata alla serra dopo un numero infinito di anni che non ci andavo, ho rincoglionito di domande l’addetto alle vendite e poi ne ho scelta una: “Tra le possibili mi sembra la più romantica” gli ho detto, lui non ha risposto, ma avrà pensato: “Fai te, rincoglionita”.
Le ho dato un nome.
Mi prendo cura di lei e ci parlo, come fosse la mia terapista, anche il cane mi guarda incredulo.
L’annaffio, anche, ovviamente.
Io verso l’acqua e lei ne riceve quanta le è necessaria, spesso devo aspettare a versarne altra, perché non è pronta a riceverne ancora.
E allora penso che, in fondo, anche le piante sono simili a noi.
A noi che riceviamo solo quello che vogliamo, o che siamo pronti a ricevere. A noi che abbiamo terreni più o meno aridi. A noi, che abbiamo bisogno di cure più o meno grandi e dedicate.
La mia pianta si chiama, in via del tutto originale, Verde, ed è la speranza che voglio provare a coltivare dentro di me.
Per ora ci provo, prima o poi spero di riuscirci.
E fine della storia.
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