Agosto
Agosto.
Agosto è un mese strano per me.
Agosto è il mese nel quale ho detto ciao al mio babbo, per sempre, o almeno nel per sempre di questa vita terrena.
Ho detto ciao alle sue mani grandi, che tanto hanno fatto e tanto avrebbero ancora avuto da fare: accarezzare la mamma, raccogliere funghi, preparare pane e pomodoro per le giornate al mare, fare il caffè dopo pranzo, vangare l’orto, tirarmi le orecchie il giorno del mio compleanno.
Ho detto ciao al mio primo amore, all’uomo che è, ancora, la mia unità di misura per tutto il genere maschile, ho detto ciao ad un’abbagliante testa, bianca come il latte, ho detto ciao ad una persona bella come il sole e buona come il pane, ho detto ciao a due ginocchia secche che sono state il mio posto sicuro per anni, la mia culla, un pezzo di casa mia.
Agosto.
Agosto è un mese strano per me.
In agosto, quindici anni fa, non mi abbronzavo, viaggiavo di continuo su una delle mie strade del cuore, incurante del caldo e dei chilometri, con un pancione che faceva provincia: avevo un figlio da far nascere in inverno ed un genitore da salutare velocemente.
Mario mi ha sempre detto che fino a che non avessi avuto un figlio mio non avrei nemmeno potuto immaginare il bene che ci voleva, a Nico e a me.
Ora che quel bene lo conosco, quel bene così grande che ti smuove, quel bene così grande che porta in sé coraggio e paura insieme, vorrei fargli sapere che del suo non ho mai dubitato.
Lui e il Giova, due persone così importanti per me, così imprescindibili, così tutto, che mi sembra ancora impossibile non si siano conosciute: si sarebbero garbate un botto, come usa dire il Giova adesso, ma proprio tanto.
Il periodo più bello della mia vita si è scontrato con quello più brutto.
Così è, non possiamo scegliere cosa farci capitare, ci si sta solo dentro, come possiamo.
Ridimensionare.
Accogliere.
Accettare.
(Grazie al cazzo)
Ci ho ripensato ieri, sul terrazzo di casa mia, sotto un cielo (quasi) agostano che mi sovrastava immobile, un cielo che ci sembra sempre uguale invece è sempre diverso, popolato da miliardi di stelle e dai miliardi di pensieri dell’umanità intera.
Un cielo che ti fa sentire meno sola, più accompagnata.
Non sarebbe, a volte, più giusto e facile, mi chiedo, stare abbracciati con chi vogliamo sotto un cielo così e in culo a tutto il resto?
È sotto il cielo che torniamo a ridimensionarci.
Uniamo le stelle dalla uno all’infinito e ridimensioniamo i nostri dolori, le nostre gioie, le nostre preoccupazioni, i nostri pensieri, tutti, si allentano per un po’.
Perché tutto va come deve andare, quasi sempre.
Una domanda vorrei poterti fare, babbo: “Sono diventata la donna che desideravi diventassi? O sono ancora quella ragazzetta che ti dava dei pensieri? Come confidavi, rassegnato e sorridente a mamma?”
E chissà se, guardandoci negli occhi, Nico e me, ci troveresti un po’ invecchiati.
E fine della storia.
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