I nonni

La mi nonna Tina, Annunziata all’anagrafe, leggeva “Confidenze”, un settimanale che, puntualmente, comprava dal Betti: credo di non averlo più  visto da quando non c’è più lei.

La mi zia Flora, che poi era la zia della mi mamma ma per me era una nonna, non c’era domenica che non t’obbligasse a guardare l’Angelus del Papa alla televisione.

Flora era la sorella del mi nonno Alberto, “signorina”, e ha sempre vissuto con lui, la Tina e i loro quattro figlioli, tra cui l’unica femmina era la mi mamma.

Una volta sposati tutti, e morto pure il nonno, sono rimaste loro due, una moderna coppia di fatto.

Erano più che cognate, e anche se hanno litigato dalla mattina alla sera, a ripetizione, finché morte non le ha separate, bene se ne volevano.

Oscar[e] e la Mila, invece, erano i genitori del mi babbo.

Tutte le domeniche incartavano, a Nico e a me, zuccherini colorati in uno scottex per il viaggio di ritorno. 

I nonni sono bagliori di memoria che ti fanno ricordare che c’è stato qualcuno che ha segnato per sempre la tua vita, che ha tracciato la strada prima di te, che ti ha plasmato con il suo affetto che te, forse, sul momento, non hai capito essere tanto grande.

I nonni sono viste su alberi e chiese, che hai osservato di stagione in stagione.

I nonni sono i mattoni cellula che ti costruiscono, solidi come quelli che hanno usato per costruire qualcosa che è ancora lì, a resistere al tempo e a loro e ai nostri genitori e a noi. 

I nonni sono le domeniche, le vacanze, i soldi messi di nascosto in tasca.

I nonni sono gesti semplici, quelli che fanno più fatica a lasciare il tuo cuore, perché sono impastati con un ingrediente speciale e unico: il cuore dell’altro.

I nonni sono un continuum, un eterno NOI, che resiste al tempo.

Certi rapporti sono il dialogo tra due affetti, che saranno per sempre, come sempre.

Viva i nonni.

E fine della storia

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