Vi darò un cuore nuovo
Ieri per uno dei consueti compleanni a sorpresa delle tre Cicie, due di noi hanno organizzato alla terza una giornata a Fiesole, nella Comunità francescana che quasi vent’anni fa, per diverso tempo, abbiamo frequentato tutte insieme.
Un’esperienza bellissima piena di gente bellissima legata a ricordi bellissimi in un luogo bellissimo.
I superlativi sono, per davvero, tutti d’obbligo.
È rimasto tutto immutato, un fermo immagine lungo anni, mentre le nostre vite sono andate avanti, la mia poi è così cambiata (o lo sono io) che è stato davvero tornare ragazza e crederci ancora un po’.
Lo stesso verde, il silenzio, la musica, la preghiera, le risate, i cerchi in terra e le esperienze condivise.
Il tema dell’incontro era “Vi darò un cuore nuovo” che se ci pensiamo, davvero, come sarebbe bello? Rinnovare il cuore, l’organo dal quale sgorga la vita, la nostra cisterna personale d’amore, per essere persone migliori, non rispetto agli altri ma migliori di noi stessi il giorno prima.
Amare significa pure sacrificarsi per qualcuno o qualcosa.
Sacrificare il sonno quando si hanno bimbi piccoli, non bere se dopo siamo noi a guidare, lasciare l’ultimo pezzo di torta a qualcuno che ci sbava sopra, amare anche ciò che ti spinge ad “odiare” una persona, amare pure il modo con il quale sceglie di farti male o il motivo che la spinge a fartene.
Amare significa scegliere, pure, e tutti vorremmo sempre essere “la scelta”, chi dice di no mente.
Ma se capita che non abbiamo voglia di sacrificare noi stessi in nome di cosa cazzo non lo so? E di conseguenza scegliersi per una volta? Qual è il margine da non oltrepassare per non essere divorati dal senso di colpa? E, soprattutto, è peggiore il senso di colpa verso gli altri o quello verso noi stessi? È peggio non essere onesto con gli altri o non esserlo con noi stessi?
Lo so da sola che mi faccio troppe domande, e che molte di esse non hanno risposta, ma domando, ancora, è un buon motivo per non farsene?
Mi sono messa a pensare che “amore”, nella grammatica italiana, è un nome astratto.
Eppure si tocca, si vede, si sente.
Nel sorriso di un amico.
Nel bacio appiccicoso di un figliolo.
Nelle cazzate che ti rifila la tu’ mamma durante la quinta telefonata inutile della giornata.
In coloro che ti tolgono una borsa di mano, per alleggerirti.
Nello sguardo del tuo cane.
In due mani che si intrecciano.
In due cuori che si toccano.
Nei poeti.
Nella birra del venerdì sera.
Nei grilli che cantano e nei cieli pieni di stelle.
Nelle giornate come quella di ieri, regalo per Cicia Lucia ma in realtà un regalo per tutte, in ascolto degli altri e di noi stesse.
In un luogo immerso nel bello, pieno di spazi aperti e di vetrate immense che sembrano squarci in un corpo, ferite su un cuore, grazie alle quali entrano luce e bellezza e la difficile comprensione che tutto ha “un oltre”, anche se quelle ferite resteranno lì.
Fermarsi e ascoltarsi, già questo è un gesto di amore.
“Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare? Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva”.
E fine della storia
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