Le cianotipie
Ci sono giorni e periodi e situazioni che agiscono su di te come fa l’acqua micellare, la sera, prima di andare a letto.
Ti scartavetrano.
Ti tolgono le impalcature.
Ti struccano.
Eppure ti fai pippe per il nulla.
Eppure ti lamenti per il nulla.
Eppure continui ad attaccarti al superfluo che, come un’ora prima, ti pare imprescindibile.
Dobbiamo pensare che siamo una rete intrecciata di corpi e anime.
Ci sono persone con le quali stare è facile, un po’ come sorridere.
Ci sono persone che sono orizzonte, in questa vita vista merda.
Ci sono persone che sono profumo, anche quando c’hai il raffreddore.
Allora, per davvero, conta solo volersi bene.
E conta dirselo.
E conta scriverselo.
E conta dimostrarselo.
Tutto il resto sono chiacchiere, nonché grossissime cazzate.
Erano altri forse i tempi quelli nei quali bastava il pensiero, che siamo, veggenti?
Qualche anno fa mi avevano promesso in regalo delle cianotipie, che in realtà non sono mai arrivate. Che poi il regalo non sarebbe stato l’oggetto in sé, ma il pensiero, appunto, avuto per me, e il tempo “sprecato” dall’amic* per produrre qualcosa di unico, perché anche l’unicità, come molte altre cose, va dimostrata, e non mi sento materiale a pensare questo.
Dedicarsi, ecco, con pensieri, tempo, particolarità, con un’attenzione che non sia forma ma sostanza, definisce chi siamo, chi siamo stati, chi vogliamo essere e chi saremo gli uni per gli altri, perché nell’avventura della vita ci sono già molte cose che non possiamo decidere, ma solo accettare, dovremmo cercare di agire su quelle che dipendono esclusivamente da noi.
Perché siamo fragili.
Come aeroplani di carta.
Come castelli di sabbia.
Come un battito di ciglia.
E fine della storia
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