Le città di mare
Sto scrivendo mentre attraverso la città, il caldo che batte sul pezzo di strada che separa il centro da Via Terreni, a quest’ora è illegale, come la birra piccola.
Ma.
Dio benedica le città di mare.
Nonostante: il caldo, gli scooter che superano la media nazionale pro capite e ti ronzano intorno come le cazzo di zanzare, l'umanità color del pollo arrosto e patatine fritte delle mie domeniche anni ottanta, i negozi in combutta con i produttori di antibiotici perché, in estate, i nostri mal di gola o non vadano in ferie o, peggio, vengano in ferie con noi, il sudore, i puzzi improvvisi, la pressione bassa, le saune in macchina.
Dio benedica le città di mare.
Per: il vento che sempre le abita, che arriva improvviso, dietro ogni angolo, ad asciugare le fronti bagnate e rinfrescare le menti affaticate, per le piazze, aperte e ariose e luminose, dalle quali senti che sei al mare pure passeggiando sul cemento, per il cielo limpido e così vicino che ti pare di toccarlo, per l'azzurro dell'acqua che pacifica anche le giornate peggiori, per i capelli che escono svolazzando dai caschi o si muovono scomposti mentre vai in bicicletta o cammini veloce sull'asfalto bollente, per la libertà delle giornate di festa, per i cieli pieni di stelle la sera, per le barche che scorgi a largo e ti ricordano che l'orizzonte esiste e può essere pieno di speranza e di luce.
Livorno è una città aperta, nel cuore e nello spirito, il mare sono le sue mura, Livorno è “una città strana, piena di gambe nude e personalissime posture”.
E fine della storia
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