Come le braccia di chi ci vuole bene

Ho già scritto tante volte, o forse una sola volta ripetuta per molte, perché tra i tanti miei difetti c’è anche quello di essere ripetitiva, che da bimbetta questo era uno dei miei periodi dell’anno preferiti.

Adesso che vedo le case, i negozi e le città indossare le prime luci di Natale ripenso a quanto anche la mia mamma adorasse questo momento.

La nostra casa era sempre piena di rami verdi che ornavano le porte, di fiocchi rossi ed oro, di lucine e di torroncini morbidi.

E mentre decorava pensava al menù di Natale chiedendosi se fossero più giusti otto o dodici metri quadrati di lasagne, alle volte qualcuno rimanesse con la fame.

Te, Elenuccia, che dici? Io mangio, mamma, non dico.

Infatti, di questi tempi, erano già un paio di mesi che mi comprava ricciarelli, perché conosceva il potere terapeutico che quella pasta di mandorle esercita su di me.

E stamani, mentre il mare mi si spalanca davanti agli occhi dagli ampi finestrini di un autobus extraurbano, mi chiedo quante cose sforano e sfaldano l’urbe del nostro vivere sicuro, della nostra città interiore, fatta di ricordi che hanno contribuito a costruire la nostra vita, di ricordi che sono come strade che ci riportano nei luoghi e nel tempo nei quali siamo stati felici.

E io, adesso, alla mia mamma, potessi farlo, gliene regalerei un ballino dei miei, di ricordi, un ballino bello grosso, come la sacca di babbo Natale, ricordi che come voci nel buio le ricordino quanto è stata felice e quanto, a sua volta, ci ha reso, felici.

Che le facciano rivedere i rami verdi che contornavano le porte di casa e le nostre vite, come le braccia di chi ci vuole bene. 

E fine della storia. 

 



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