Nicola Berti
Stamattina, un amico che mi ha conosciuto da bimbetta, mi ha dato il buongiorno con questa foto.
C’ho riso tre ore, minuto più minuto meno: grazie, cazzo, solo il fatto che sia venerdì, a volte, non basta.
Lui è stata la mia più grande passione di sempre, roba che se ci penso e lo vedo ora, io boh.
Mentre Giuseppe, caro, muoveva, immagino, i primi passi nell’avvocatura, io ero perdutamente innamorata di Nicola Berti da Salsomaggiore Terme.
Mentre lui era per me un adone, più bello di Achille e Patroclo messi insieme, più rassicurante di Ettore, più romantico del termine “arco latino” (che poi di romantico non c’ha un cazzo nulla), io mi trascinavo nella vita come una sfigata, lunga e secca, con le puppe in via di sviluppo.
Sognavo per noi un futuro da anime gemelle, predestinate, tipo “ovunque sarai io ci sarò” o “non esisto se non ci sei”.
Roba leggera, via.
Ci immaginavo a crescere bambini (belli come lui) e avere un giardino, un cane, due suocere, spesa e vacanze da fare: N&E insieme, sempre e per sempre, come nelle canzoni o nelle scritte sui muri delle città.
In casa mia il calcio è sempre stato più presente della foto del Papa o del Rosario sopra la testata del letto della mi zia Flora.
Nico ha iniziato a giocare a pallone da quando, credo, ha iniziato a camminare; babbo e mamma me li ricordo da sempre grandi tifosi della Fiorentina.
Io che il calcio invece non l'ho mai amato (la prima volta che mi sono venute le mestruazioni ero a vedere la Fiorentina, fate voi, poi ci si domanda perché mi faccia caa) mi sono sempre trovata avulsa da ogni conversazione, a digiuno da qualsiasi nozione tecnica, all'oscuro di chi giocava e dove, fino a che il mio cuore si è invaghito di lui, Nicola.
Il primo e l'unico calciatore che abbia avuto un'attenzione da parte mia (forse anche il primo e l’unico giocatore che non si depila le sopracciglia).
Prima di lui nessuno.
Dopo di lui nessuno.
Sono tornata sana (quasi).
Avevo la camera tappezzata di foto sue e di articoli che parlavano di lui.
Compravo la Gazzetta dello Sport, un giornale che se oggi la vedo sul tavolo di un bar mi viene una nausea che nemmeno nel primo trimestre di gravidanza: io non volevo sposare Simon Le Bon, io volevo sposare Nicola Berti!
Tenevo pure un diario giornaliero (il carteggio Berti) nel quale gli raccontavo tutto quello che facevo, a riprova del fatto che la botta ce l’avevo grossa e che, scrivere, ho sempre scritto.
Un'estate, come era già capitato, venni trasportata dai miei a vedere delle partite amichevoli della Fiorentina (rendetevi conto voi della vita che ho fatto), ma adesso avevo una missione: farmi una foto con luiiiiii.
Ce la feci.
Mi ricordo ancora che indossavo una felpa verde bosco, dei pantaloncini di jeans, degli orecchini a campanella enormi di plastica color rosa fucsia, ai piedi un paio di superga bianche e che sentii, nitido, il suo braccio attorno alle mie spalle.
Chiaramente lui non mi cacò di striscio: cioè gentile ed educato, ma non fu accecato né dal mio look, né dal fucsia dei miei orecchini, figurarsi, poi, dalla felpa verde bosco.
Attesi lo sviluppo di quella foto come i bimbi aspettano Babbo Natale e l’ho tenuta alle pareti di camera per un po', fino a che l'infatuazione di ragazzina è passata.
In passato l’ho ricercata nei cassetti a casa di mamma, nelle mie scatole sotto il letto, ma nulla, ma non l’ho più trovata, probabilmente è andata persa in uno dei tanti traslochi.
Detto questo.
La mia, di fighe, non l’ha conosciuta.
Almeno questa responsabilità non ce l’ho, dé, gli volevo troppo bene per distoglierlo dall’obiettivo.
E fine della storia
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