Il profumo del pitosforo
Il pleut.
E la pioggia come fosse un reagente e come mi insegna Mario, che annusa anche quello che non c’è e che è già sul tappetino del bagno pronto a farsi asciugare col phon, fa emergere profumi su profumi, nell’aria e dentro di noi, profumi travestiti da ricordi, o meglio ricordi travestiti da profumi.
Il profumo del pitosforo, a maggio, è il profumo della mia infanzia, il primo sul podio, l’annunciatore dell’estate, un arcangelo vestito di verde e di fiori.
È l’odore del verde, del Villaggio Aniene e del vialino che portava al portone di casa mia.
Del ghiaino, che Nico prendeva a pedate, anche se c’aveva i sandali con gli occhi in pendant coi calzini di trina e dei conseguenti strilli della su’ mamma, che poi è pure la mi’ mamma.
Dell’acqua nera del sabato, quando si faceva il bagno nella vasca, che alla fine c’aveva i bordi spumosi e marroni di quella che pareva esse’ mousse al cioccolato e che invece era mousse di sudicio.
Dei campanelli suonati per sentire se si scendeva in strada, a giocare, delle albicocche, delle nespole, della terra sotto le unghie.
È un odore che culla e accompagna i miei giorni, uno dei miei posti nel mondo, rassicurante e immutabile come solo le ginocchia del mi’ babbo hanno saputo essere.
È quiete e fragore.
È gioia e malinconia.
È una parietaria attaccata al muro del mio cuore.
È tutto l’amore del mondo in un profumo.
Buon Primo maggio.
E fine della storia.
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