È stato bello, però
Ho appena visto un film costruito sulla fotografia e sui dialoghi, nemmeno troppi, tra due persone, una donna e un uomo, attraverso gli anni e le vite, le loro, lontani eppure legati da un filo invisibile che possiamo chiamare destino, o provvidenza, lo In-Yun in coreano, la predestinazione.
Un film sulla dualità, sulla sulle infinite strade che la vita ti mette davanti, e sulle conseguenti scelte. Chi lasci. Da chi resti. Chi dimentichi. Chi non riesci a dimenticare. Chi ti ricorda chi sei. Chi ti fa venire voglia, invece, di dimenticarti chi sei. Con chi ti viene facile fare tutto. Con chi invece non vuoi proprio fare niente. Chi la vita te lo regala. Chi ti viene dato solo un prestito. Chi si allontana. Da chi ti allontani. A chi appartieni. A chi non apparterrai mai. Chi merita ciò che sei. Chi non lo merita più.
Ci sono due parole “e” e “se”, due innocue congiunzioni del cazzo se prese da sole, che però possono diventare un’arma letale pronunciate insieme: “e…se”, anticipatrici di tutte le possibilità che vanno oltre la strada intrapresa o che le stavano di fianco, o che ci si sono parate davanti dopo.
Potevo guardare quell’autoreferenziale di Carlo Conti alla televisione e invece mi sono andata a sbriciolare i coglioni con chi si fa più domande di me.
È stato bello, però.
E fine della storia.
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