Io non conosco l’amore

Io non conosco l’amore.

Non quello cantato dai cantanti, accidenti a loro, che come fanno non lo so, o quello di certe poesie della Szymborska.

Ma osservo, e mi perdo in fantasie che mi fanno essere un po’ Liala un po’ Harmony un po’ zoccola.

Ieri intorno alle 13.57 tra l’ombelico del mondo Precisamente Calafuria e la dimora eterna di Sidney, c’era una coppia, in piedi, davanti alla balaustra di legno, spalle alla strada, faccia verso il mare il cielo il domani che verrà.


Lui parlava muovendo le mani e le braccia in aria.

Sembrava disegnare quello che raccontava, per renderlo più vero, come se quei colori, da soli, non bastassero.

Lei ascoltava, guardandolo.

Incuranti del caldo.

Delle macchine.

Di me, che procedevo a 25 km/h perché la processione dei bagnanti quello consente.

Dei vecchi color crosta della porchetta (bona).

Dei ragazzini in odor di vacanza sugli scooter.

Boh.

Magari ieri, davanti al mare, si sono impigliati uno nei pensieri dell’altra, come fanno i miei braccialetti nei maglioni d’inverno, sicuri che il mare blu sia stato il testimone di qualcosa di eterno, come il movimento delle sue maree.

Magari, tra qualche anno, o questo autunno, si sveglieranno lontani, in tutti i sensi, e malediranno il giorno nel quale sono stati così felici davanti a una balaustra di legno “Che poi era anche un caldo del cazzo, cosa c’avevo nel capo”, dirà lei.

“Boia, stavo per mori’ davanti al mare per fare colpo su lei lì, dé”, dirà lui.

Forse, invece, si ritroveranno, tra molto tempo, al banco dei surgelati, all’ipercoop, e capiranno che non si sono mai scordati le reciproche bocche, che sapevano di mare, di sale, di caldo, di Romito, di felicità, di giugno, di quell’attimo di eterno al quale ho assistito oggi.

A quel punto uno dei due salirà nella macchina dell’altro e faranno la storia.

E fine della storia 

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