Cambiare colore
Il mio babbo, alla fine della scuola, dopo i primi giorni di mare, mi diceva sempre, di solito a tavola, Elenuccia, stai bene, hai già cambiato colore.
Cambiare colore era il segno della fine dello studio comandato, dell’inizio del mare, dei baci del sole, della carezza del sale sulla pelle, dell’attenzione di Mario per me, ma un po’ per tutti, era un suo marchio di fabbrica.
Si potesse, allora, cambiare colore dentro di noi come fa la nostra pelle, lasciare che il grigio di certe giornate diventi giallo limone in ogni angolo del nostro essere, lasciare che i colori dei nostri vestiti estivi contagino il nostro cuore ammaccato, stanco, deluso e preoccupato.
Aggrapparsi alla macchie di colore che ti migliorano e si mischiano con le tue, anche fossero i due giorni di lavoro dai quali torno, colleghi che condividono con te un lavoro, che più di altri è legato alla passione, il mare dell’Elba, la mia “Caperrimo” che m’ha trattato come credo tratti le su’ nipoti, peccato io abbia cinquant’anni.
Che tutto diventi rosa acceso, come i fiori a primavera e usare la spf 30 per repellere solo le rotture di coglioni, che sono grigie e pesanti come la ghiaia.
Essere soli rossi e accesi, in grado di illuminare l’angolo più buio che abbiamo, nel quale, di solito, dimorano la scontentezza e suo figlio, Sua Maestà il lamento.
La vita molto spesso ci sembra “una tragedia”, ma è solo un lavoro dal quale non possiamo prendere ferie, un lavoro che possiamo trasformare in un capolavoro.
E fine della storia
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