Che senso ha la parola amore?

Se tutto quello che due persone vivono non le rende vicine, poi, nel tempo, mi spiegate che senso ha la parola amore? Che senso ha il verbo amare? Che senso ha vivere, per un po’ poco o per un po’ tanto, vicini e stretti come se nemmeno la luce entrasse in quella saldatura d’anima, che tanto anche al buio ci vedono, e si vedono, lo stesso?

Cosa ci rende speciali l’un* per l’altr*? Cosa differenzia un binomio di nomi e cuori da un altro?

Lei è speciale per lui solo perché lui ha visto le sue puppe e un altro no? O lei, lo è, speciale per lui, perché sa che ha un neo dove non tutte possono vederlo e baciarlo? O lei è speciale per lei perché all’asilo si sono scambiate le gommine di Ellochitti quella maiala, come dicono a Livorno? O lui è speciale per lui perché hanno ruttato insieme a una partita della Juve o parlato di topa davanti a un panino?

Sì è speciali l’un* per l’altr* quando scegliamo e, soprattutto, desideriamo educarci a vicenda, cioè di trarre il traibile fuori da noi per donarlo all’altro e permettergli di conoscerci e di sceglierci, per una cena, una birra, un film, una vacanza estiva o per tutte queste cose insieme o per il grande classico “finché  morte non ci separi”.

Educarsi al sentimento, io credo voglia dire permettere (e promettere) a qualcuno di tirare fuori da noi quello che non tutti riescono a fare, perché non tutte le chiavi aprono le stesse porte.

Permettere a qualcuno di toccarci, fisicamente ed emotivamente, di farci ridere, o di farci piangere o arrabbiare o strillare.

Permettere a qualcuno di farci male senza smettere di amarlo o di volerlo nella nostra vita.

Quanti tra noi hanno perso un amore o un amico? Quanti tra noi sorvolano sulla vita della gente, come un drone, senza affondarci mai il cuore? Quanti di noi mantengono sempre la giusta distanza dagli altri per controllare tutto, ma non esserne mai completamente invischiati? Quella giusta distanza che ci permette di fuggire in tempo e più lontano che si può?

Invece dovremmo essere rapaci di cuori, afferrarne qualcuno tra le mani e non lasciarlo scappare più via.

Tutto il resto sono chiacchiere, o fuffa come diceva il mi’ babbo.

Così come l’Homo Sapiens imparò a coltivare terreni e divenire stanziale, noi, dopo millenni, dovremmo imparare a coltivare i cuori che scegliamo, prendendoci residenza, e non muoverci più da lì, cambiando nutrimento o destinazione d’uso, se necessario, ma rimanere lì.

Io ci credo, voi non lo so.

E fine della storia. 


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