Bruno, je t’aime

Una delle mie più care Amiche ha una dinastia di cugini, a mazzi, come i fiori.

Uno di questi cugini è più bello del più bello tra i fiori, il sogno proibito della ragazzina che sono stata.

Di padre italiano e madre francese, cresciuto nella culla del romanticismo e  bOno, diomio, bOno da vampata di calore. 

Con quel suo italiano da francese in gita, roba da spogliarsi alla prima parola con la erre che pronunciava, quindi tipo, siccome il suo nome è Bruno, diciamo che al:  “Ciao, sono Bruno” alla terza parola eri già nuda, toh, alla quarta se conto la virgola, ma vedrai non conta, la virgola dico.

Il ciuffo sugli occhi che solo a guardarlo sentivi odore di balsamo e gli occhiali di ferro leggero che anche quando diceva:  “Mi passi l’acqua” sembrava snocciolasse  la soluzione di un’equazione differenziale.

Quando poi si portava la sigaretta alla bocca potevi morire, e morivi davvero, ma di gelosia, quando, invece, portava le fidanzate in Italia, perché garbava parecchio, si vede non solo a me.

Bastava che la mia amica mi dicesse: “Da nonna c’è anche Bruno” e io ero già lì, pettinata profumata e, ovvio, non cacata.

La frase: “C’è anche Bruno”, sfondava ogni porta, ogni reticenza, ogni “Non ho voglia”, smuoveva  montagne culi e volontà. 

C’è da dire che era parecchio più grande di me, quindi ora sarà un vecchio, ho sempre pensato.

E invece no, perché poche estati fa l’ho rivisto al banco surgelati della Coop, e ho fatto la splendida, nonostante puzzassi di sudore da dopo mare e avessi i capelli più crespi di quando avevo quindici anni. 

Era sempre bello e affascinante come pochi uomini al mondo e, vi assicuro, ancora bOno da vampata di calore, nonostante la corsia dei surgelati. 

E io davanti a lui ero ancora quella quindicenne, la sua Sophie Marceau ne “Il tempo delle mele”.

Volevo dirgli: “Bruno, je t’aime (con grand ardor)” appiattendomi come una platessa surgelata sul suo corpo.

E invece gli ho detto solo: “Buona spesa”.

Buona spesa.

Fate voi. 



Commenti

Post più popolari