Gianluca Vialli

Per me il calcio è una roba che non esiste.

Gianluca Vialli era uno dei pochi calciatori che avrei riconosciuto alla cassa della Coop sei tu, insieme a Del Piero, Protti e Cristiano Lucarelli.

(E, ovvio, Nicola Berti)

Forse perché mi ricordava l’adolescenza, i favolosi anni Ottanta o non lo so.

Boia, bello diomio. Vitale. Fico. Bono. Uomo.

Uno che, se sei alla stazione e devi partire, ma lui decide di sorriderti, te perdi il treno, ecco.

Io vivo nel terrore costante della malattia, della quale lui ha parlato in un modo quasi dolce, che non appartiene a tutti, come se comprendesse il lavoro umano che “la bestia” stava facendo su di lui.

Chissà se lo ha reso un uomo migliore, chissà se questa può essere una consolazione per chi resta, per chi gli sopravvive, per chi lo ama e lo amerà ancora. 

C’è chi dice che l’amore è l’unico modo che conosciamo per fregare la morte, ma sul subito è la morte a fregare noi.

Sul subito. Poi, c’è un poi. 

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