Quando ti vedo mi tremano ancora le gambe
Tra il cielo e il mare del Romito, subito dopo (o subito prima) di Calafuria, c’è un pezzo di muricciolo sul quale qualcuno ha scritto: “Quando ti vedo mi tremano ancora le gambe”, e su quello subito dopo, perché sul primo tutto non ci entrava, credo io, “Forse ancora un po’ ti penso” che poi è la giustificazione al tremore di gambe, se si escludono il troppo esercizio fisico o un calo di zuccheri.
Le gambe ci tengono in piedi, ci portano da qui a lì, ci avvicinano fisicamente gli uni agli altri, ci trasportano durante i giorni, le settimane, i mesi e gli anni.
Quindi ci rendono uomini e donne eretti. Dritti. Tesi verso l’alto. E, metaforicamente, anche retti, probi, giusti e corretti.
Quindi, forse, è per questo che quando l’acquazzone dell’amore ci inzuppa la pelle,
le ossa e il cuore ci destabilizziamo e a tremarci sono proprio le gambe, che invece dovrebbero tenerci stabili ed in equilibrio, per quell’acquazzone lì l’allerta meteo non c’è, arriva e basta, e non credo ci sia tempo per mettere sacchi di sabbia davanti alla finestra che dà sul nostro cuore.
Forse è per questo che balbettiamo o arrossiamo o autoproduciamo parole che ci rendono sciocchi e tutto meno che diritti.
Il grande amore destabilizza, porta fuori strada, fuori se stessi, ci trasforma, ci fa cantare, ballare e ubriacare e alla fine ci fa stramazzare al suolo.
Alé.
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