Una dolce malinconia
Giuseppe, caro.
E' passato Ferragosto e te non ti sei fatto sentire.
Ok, ho capito, il messaggio è chiaro, la smetto.
Basta lettere, parole dolci, ammiccamenti.
Io non sono per te e te non sei per me.
Ti voglio raccontare una storia però, la storia dell’addio.
Anni fa, molti, la Saveria Pardini ed io, durante le vacanze di Natale, facemmo da baby sitter ai gatti di una coppia di amici: a giorni alterni andavamo dai mici non senza poche risate.
Loro, i nostri amici, al ritorno, ci regalarono dei libri per dirci grazie.
Uno dei miei fu “L’educazione sentimentale”, uno dei miei libri del cuore.
Ecco, con te, Giuseppe, caro, mi è tornata in mente una cosa che ho sentito un po’ di tempo fa, che ho sempre pensato anche io, senza saperla spiegare, o forse non c’ho mai provato.
Flaubert ha scritto uno dei migliori finali di sempre in letteratura.
Un non finale praticamente.
I due protagonisti si ritrovano come due vecchi amici ricordandosi la cosa migliore che in realtà non gli è mai accaduta, e lo fanno teneramente.
La forma di piacere più pura in fin dei conti è l’aspettativa.
È anche la più attendibile, se ci pensiamo bene, perché quello che ti succede, spesso, finisce per deluderti mentre quello che non ti è mai successo non muore mai, non scompare mai, come una dolce malinconia.
Ora dé.
Era da poco passata la metà dell’Ottocento e ora, forse, un tintinnino più audace, Gustave, lo sarebbe.
Non dico un nuovo Julio, un pirata e un signore professionista nell’amore... ma, sicuramente, azzarderebbe di più, ecco.
Speravo anche nel tuo, di azzardi, segnali te n’ho dati, boia come sei lento.
Che poi bastava nulla: un bacio tra le cabine del CCS dal 1938, un tuffo al tramonto, che per te avrei sfidato anche le creature marine nascoste tra gli scogli (senza contare che se entro in acqua per un uomo che non è il mi’ figliolo è quasi amore), una cena occhi negli occhi, mano nella mano, cuore contro cuore.
Ma nulla, si metta agli atti che mi hai rifiutato.
Addio.
Ti ricorderò sempre con affetto.
E.
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